Beste hizkuntzetako lanen zerrenda

  Traduzione: Roberta Gozzi

 

 

 

—11—

 

La locomotiva appare dietro la curva del fiume precedendo il suo vapore. Il fischio costringe il nuovo dipendente ad abbandonare lo sportello e raggiungere il binario mentre il capostazione esce da un pollaio con il berretto in mano. L'impiegato toglie accuratamente le piume dalla schiena del suo capo.

        — Gli ultimi tuoni hanno rovinato quasi tutte le uova. Con la chioccia che abbiamo!

        Arriva il treno, una lunga ferriera. Scendono due giornalisti, tre guardie, il vecchio maestro, sei suore. Immagino che da molto lontano sia arrivata anche una donna dai capelli corti, e che abbia chiesto come si arriva a Bergara. Ma l'immagine mi si è cancellata, penso troppo a lei perché davvero venga a visitarmi.

        Il treno ti porta via di nuovo.

        Verrò io da te, senza che debba venire tu.

        Il ragazzo della biglietteria rimane a guardare con le mani in tasca il treno che si rimette in marcia. Poi corre verso il capostazione prima che sparisca di nuovo nel pollaio.

        — Mi scusi... quello lì mi ha chiesto quando arriva il treno di Burgos. Puzza di alcool.

        Segnala con il pollice all'indietro sopra la spalla l'uomo sdraiato sulla panchina, ha il basco calato sugli occhi.

        — Tranquillo... se è venuto a rubare una gallina lo rimandiamo via con una bella strigliata!

        L'uomo mostra una lunga gamba di legno, come se volesse fare lo sgambetto alle ruote del treno.

 

 

Dal cuore della Spagna eterna è arrivato, al mio servizio, il maestro che fa rispettare la giustizia, il signor Gregorio Mayoral. Si reca dal sindaco e gli stringe la mano, una stretta da meccanico implacabile.

        — La ringrazio per avermi dato la mano, ci sono persone che me la negano. Ma io vivo tranquillo con la mia coscienza, signor sindaco.

        Il boia nutre sempre un certo timore nei confronti del condannato.

        — Sono abituato a dormire nelle prigioni, in una cella. Ma questo caso è speciale. Il condannato è un anarchico e non mi fido. In prigione potrebbero ammazzarmi.

        Il signor sindaco dovrebbe ringraziarlo per aver parlato così chiaramente del suo mestiere. Ha trascorso tutta la mattina pensando se avrebbe dovuto dargli la mano oppure no.

        — Nella nostra prigione c'è un solo detenuto.

        — Non mi fido, signor sindaco. Domani stesso può entrare un suo compagno, per aver commesso un piccolo furto, per esempio.

        Non è la sua voce, bensì i gesti che fa quando parla a renderlo rozzo. Chi sa che mestiere fa può facilmente immaginarselo al lavoro, sul patibolo.

        — Ma una locanda è più pericolosa della prigione...

        — Ovviamente, ed inoltre sono sicuro che tutta Bergara sa chi sono, nessuno vorrà darmi alloggio. Sappia che mi hanno seguito da quando sono sceso del treno.

        Questo luogo nascosto tra le montagne, nel più recondito angolo del mondo, sarà percorso da un brivido, da una tensione, anche se velata dalla nebbia, verso un ideale. Sono convinto che qui c'è un Cienfuegos.

        — Ci sarà un convento da queste parti... sono i posti più sicuri.

        — Sì, quello dei domenicani... Ci proverò, parlerò col superiore...

        — Due stanze, il mio aiutante arriverà questo pomeriggio.

        Gregorio Mayoral si alza prima che il sindaco accenni un minimo gesto di saluto e prende la sua valigia.

        — Mi scusi se non l'accompagno, ho la scrivania piena di lavoro arretrato... —e il sindaco fissa il suo sguardo sulla pesante valigia dell'uomo che si avvia verso la porta.

 

 

Da quando ha abbandonato il municipio, l'uomo della valigia è seguito da uno zoppo trasandato che si nasconde dietro le colonne degli archi della piazza. Gira improvvisamente a sinistra e Cienfuegos lo perde di vista. Lo zoppo allunga il passo, sembra che l'uomo della valigia voglia fuggire. Girato l'angolo si imbatte nello sconosciuto che lo seguiva. Lo guarda fissamente, senza lasciare la valigia.

        — Io sono quello che cura gli zoppi!

        Cienfuegos resta di pietra dal ginocchio in su, e rimane così a lungo, osservando l'uomo della valigia dirigersi verso le scale del carcere, immobile come se la mano del meccanico della morte gli avesse fissato la gamba di legno nel cemento. Sta sudando freddo e non vede il carro del falegname che si avvicina a lui.

        — Ti senti male, Cienfuegos? —lo saluta, fermando il cavallo.

        — Sì... no, è che oggi sono uscito con la gamba legata male...

        — Nessuno ha i coglioni in questo paese, devo montare il patibolo nella prigione, e nessuno vuole aiutarmi...

        A volte il popolo è dalla nostra parte, Dolors. E il popolo si sbaglia, non vuole vedermi morire.

 

 

— Quel tal Juan Crisostomo Ibarra del quale Lei ci ha parlato durante l'ultima visita era cristiano, riconosceva Dio benché odiasse i domenicani...

        Il direttore ha permesso loro di entrare ignorando la mia richiesta. Deve essere allarmato perché non voglio morire da cristiano, dovrò perdonarlo.

        — Non siamo perfetti, bisogna riconoscerlo.

        Forse nel convento di Bergara c'è ancora qualche frate che, tornato dalle Filippine, cerca di guarire dalla malaria.

        — Aveva delle buone ragioni per odiarvi, ricordatevi che foste voi a far fucilare il grande scrittore Rizal, l'autore che creò Ibarra, appunto.

        — Ma Rizal morì abbracciando la fede.

        Mi viene un'idea. Una nuova possibilità che non avevo preso in considerazione.

        — Lo costringeste a farlo, lo obbligaste a pentirsi. L'avete ucciso due volte.

        — Guardi che noi non vogliamo obbligarla a niente...

        — ...ma ora la giustizia le offre la possibilità che Lei non ha dato a Cánovas... —padre German completa il ragionamento del suo superiore.

        Siamo rimasti in silenzio, nemmeno io so che cosa dire a questi ipocriti.

        Poi, con la più aspra delle voci, ma senza nessun turbamento, padre Hilario mi ha ricordato:

        — È la sua ultima notte!

        No, questa gente non è allarmata per quello che ho fatto. L'atteggiamento del direttore, i ragionamenti dei frati, gli sguardi del fotografo, tutto ciò mi fa pensare che li preoccupa di più che io muoia negando Dio rispetto al fatto che io abbia assassinato a sangue freddo il primo ministro spagnolo.

        — Avete portato del tabacco?

        — No... ci ha detto che non fumava... ma padre German glielo andrà a prendere subito...

        — No, volevo sapere che tipo di tabacco usate, se viene dalle Filippine...

        — Sì, credo di sì...

        — A Barcellona, La Compagnia Centrale del Tabacco delle Filippine è vicino ad una chiesa, è un suo prolungamento... E' sulle Ramblas, dovreste vederla.

        Non vogliono capire.

        — La Chiesa ci dà libri di preghiere e si tiene il tabacco.

        E' entrato il direttore, è entrato dopo aver bussato alla porta. Vorrà sapere se i frati sono ancora vivi.

        — Mi scusi, Michele... Ha bisogno di qualcosa? Caffè?

        — No, solo della carta per scrivere. Signor direttore, per favore, non voglio né domenicani, né gesuiti, né nessun ordine di frati attorno a me, né oggi né domani!

        Le ripetute visite dei frati, il fatto che il direttore non rispetti la parola data e che sia così sconcertato, mi confermano che la morte di un anarchico non fa che prolungare l'eco delle sue azioni. Pertanto devo dare l'esempio.

 

 

Cienfuegos è riuscito ad entrare. Gli agenti gli hanno perquisito soltanto il sacco degli attrezzi, il direttore ha accompagnato immediatamente lui e il falegname in cortile, facendoli passare dalla porta alla fine del braccio che normalmente è aperta. Intuisco, sento che Cienfuegos mi invia messaggi attraverso migliaia di piccoli rumori.

        — Conosco gente che sarebbe disposta ad aiutarci —dice al falegname mentre carica sulla schiena le tavole da portare fino al centro del cortile.

        — Il fatto è che non ho soldi, mi pagano una miseria per questo.

        — È lo stesso, dividerò la mia parte con loro.

        — D'accordo. La cerimonia sarà domani alle undici, non so se solo noi due ce la faremo a finire...

        Lo sento gridare in cortile. E' lui:

        — Senti, Errasti! Non dire «la cerimonia», non dire «la cerimonia!»

        Cienfuegos affera il falegname e lo scuote, ha gli occhi rossi. Il falegname, indifferente, pensa che la sua rabbia sia dovuta all'alcol che ha in corpo.

 

 

Adesso non ho più visite. Questo silenzio è particolare, di quando in quando sento una porta chiudersi, rumore di passi colpi martellate, ma non giunge alle mie orecchie alcuna parola. Sembra che la prigione sia piena di detenuti e che tutti sappiano che domani impiccheranno un loro compagno. Il direttore avrà ordinato silenzio, sono le ore più difficili della sua vita.

        — E' tutto pronto, signor direttore. Ora vorrei vedere il condannato.

        — Come? —è la prima volta che un boia chiede una visita.

        — Devo sapere quant'è alto per sistemare lo sgabello, altrimenti potrei non riuscire a mettergli la cravatta.

        Uccidere una persona è, ovviamente, lavoro per gente abituata a farlo, ma questa freddezza, quest'uomo che dà il nome di un capo d'abbigliamento alla macchina letale... Il direttore si chiede che cosa mai dirà al condannato: «Buona sera, sono il boia che l'ammazzerà, vengo a misurare il suo collo»? Un brivido gli percorre il corpo.

        — E' alto come me, forse un po' di più. Se è necessario, può vederlo attraverso lo spioncino.

        Gregorio Mayoral lo guarda attentamente. La maggioranza dei direttori di prigione che conosce non sa come si fa ad uccidere un uomo, ma non aveva mai visto nessuno così attento.

        — Soffrirà molto? —domanda con un tono più alto del dovuto.

        — Guardi, signor direttore, lo giustizierò facendo fare mezzo giro a questa manovella...

        Il direttore osserva spaventato la manovra del boia. La manovella gira dolcemente.

        — Provi lei stesso! Provi!

        Il boia allunga l'indice in mezzo al percorso che la vite deve fare, tra i ferri che manterranno rigido il mio collo. Il direttore guarda di traverso come lo strumento che lui aziona arriva fino al dito.

        — Non provoca nessun dolore! Lei crede che quel disgraziato morirà soffocato, ma non è così, durante il mio primo anno da esecutore della giustizia ho montato una macchina che rompe le vertebre del collo.

        — Gli introdurrà quel ferro... nel collo?

        Il direttore non riesce a deglutire la saliva.

        — Non si preoccupi, non lo pizzicherà né gli tirerà i capelli, lo avvolgo in un pezzo di sacco, produce una stretta forte e rapida. Ho fatto io queste migliorie alla macchina, e pensi che l'esecutore di Madrid, che è un pasticcione, si fa pagare il doppio.

        — Già, certo... Andiamo verso la cella, così lo può vedere.

        Escono in corridoio lasciando il giovane aiutante a riporre gli attrezzi nella valigia. Al direttore è sembrato che la porta che dà al Tribunale sia aperta, per lo meno gli sembra di vedere un raggio di luce, come se qualcuno camminasse. Ci sono agenti della Guardia Civil ovunque in questi giorni.

        — Da questa parte! —e si dirige verso sinistra.

        — Se Lei non lo sapesse, glielo dico io, con tutto il rispetto... —Mayoral crede che l'aver tolto dalla vista del direttore la cravatta gli permetta di fare amicizia con lui— in Spagna è tradizione che il condannato reciti il Credo prima dell'esecuzione, una volta seduto e legato. L'imputato crede che l'esecuzione avverrà al termine della preghiera, ma il nostro segnale è la parola «figlio», allora io...

        — Non credo che domani possa fare niente del genere... Il signor Angiolillo non vuole preghiere... —taglia corto il direttore.

        — Sì, questi fanno gli spacconi fino alla vigilia, ma poi, quando bisogna sedersi al palo, tutti hanno paura...

        Il direttore è schifato, vorrebbe che mi uccidessero quanto prima. Non vorrebbe vedermi morire, e questo lo porta a desiderare che l'esecuzione avvenga il più presto possibile.

        — E' qui! —abbassa la voce vicino alla mia porta.

        — Siete veramente spiritosi! —È il boia e osserva l'architrave sopra la porta.

        — Perché lo dice? —Ho sentito che chiedeva il direttore.

        — Tenete il condannato a morte nella cella numero tredici!

        Rido e con la mano faccio un gesto di saluto all'occhio che appare nello spioncino.

 

 

 

© Koldo Izagirre
© Traduzione: Roberta Gozzi


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