Beste hizkuntzetako lanen zerrenda

  Traduzione: Roberta Gozzi

 

 

 

—13—

 

Mi sono svegliato all'alba, quando il sole inizia a fare impazzire le rondini. Sono stato il primo a dare il buongiorno al direttore, quando è venuto con la colazione. «Sì, arrivederci» mi ha detto, ed è uscito subito. Ho preso le pietre che avevo riunito in un angolo della cella, in modo che, se mi perquisiscono, si meraviglino di trovarmele in tasca. Sarà la prova che ho ricevuto i messaggi, una parola d'ordine segreta, Cienfuegos lo capirà. Sono ore che non si sente più il suono delle martellate. Sembra che tutto sia pronto. Mi alzo dalla branda, mi avvicino alla parete della finestra. Mi sembra di sentire il pianto di un bambino. Le voci mi arrivano nitide, parlano ad alta voce, chiaro, ma non capisco quel che dicono, la loro lingua mi giunge più strana del fiammingo. Nessuno mi chiama, mi vogliono lasciare in pace, forse nessuno sa cosa dire a chi fra poco ci lascerà il collo. Metto il piede sul supporto metallico della branda, appoggio la schiena alla parete sinistra, avvicino la testa al bordo della finestra. Posso vedere un pezzo di campagna, ma il verde è subito nascosto da un gruppo che si avvicina. Si sente un grido, una donna alza il braccio verso la mia finestra. Scendo. Markaida deve aggirarsi da queste parti e non voglio che mi immortali dietro le sbarre.

        Bussano alla porta. E' strano: durante questi ultimi giorni continuano a bussare ad una porta che io non posso aprire. Deve far parte della cerimonia. Comunque sia, è da apprezzare. Togliersi la giacca, lasciarla sul letto, slacciare i bottoni della camicia. Aprono. È il direttore accompagnato da padre Hilario, un vero rapace. Non li saluto, sono visibilmente allarmati e osservano ammutoliti con che tranquillità mi allaccio i bottoni della camicia.

        — Dobbiamo prepararci —ha osato il direttore.

        — E' quello che sto facendo.

        Padre Hilario si mostra più freddo che mai.

        — Le porto la consolazione della religione, se Lei lo desidera.

        Gli ho risposto senza concedergli l'elemosina di un sguardo:

        — Siete veramente noiosi!

        Rimangono immobili, senza sapere che fare. Sono stato lì lì per chiedere se sembravo loro abbastanza elegante, se sono uno sposo adeguato. Oppure potrei dire loro che, dato che la camicia non è mia, ordinino al boia un trattamento accurato. Ma mi fanno pena.

        — Come ha perso la gamba Cienfuegos?

        — Che cosa...?

        Pensano che l'approssimarsi della morte mi abbia fatto impazzire. Qualcosa del genere voleva dire lo sguardo che si sono scambiati.

        — Cienfuegos, quello che ieri sera ha aiutato il falegname.

        — Mi scusi, Michele... il falegname ha avuto suo figlio e me come aiutanti... —tace pensando che quel che ha detto mi abbia infastidito.

        — Quello che ieri sera le ha detto che uccidere un uomo con dei principi non può essere chiamato lavoro, dove ha perso la gamba, nella manigua o nel bosco?

        Il direttore e il domenicano si guardano di nuovo, di sottecchi. Un barlume di speranza ha fatto sì che padre Hilario si entusiasmi.

        — Figliolo, non mi muoverò dal cortile, se avesse bisogno di me.

        — Per favore, sparisci, vai a prender aria!

        Arrossisce, poi si dirige verso la porta facendosi il segno della croce ed esce.

        Sono rimasto stupito di me stesso, come se fosse stato un altro a parlare con la mia bocca. Ho meno pazienza di quanto pensassi, anche il direttore è sconcertato. Sento rumore di ferri in corridoio, subito dopo appare sulla porta un giovane col viso oscurato da alcuni ciuffi di barba, porta i ceppi in mano. Il direttore gli fa posto lasciando libero il passo ed il giovane, annuendo leggermente con il capo, con un paio di passi è davanti a me. Piega le ginocchia in genuflessione per poter chinarsi senza dover guardarmi in faccia.

        — Sei tu il criminale di professione?—Sembra non capire e rimane in silenzio—. Sei tu il boia?

        Si alza di scatto, ha il volto spaventato: i due grandi occhi sono cerulei come i buchi dove non gli cresce la barba. Deve fare uno sforzo per mantenere il viso alzato, è gobbo.

        — No, signore, non sono io.

        Avrà a malapena vent'anni. Gli appoggio la mano sulla spalla. Trema. Anche Cienfuegos ha tremato in questo modo al sentire la voce del boia.

        — Mettimi il ceppo sotto i pantaloni, per favore.

        — Ma... il ferro può ferirla!

        — Ah, ah!

        Al direttore scappa un sorriso, è stato come un lampo fugace: non può nascondere il suo nervosismo. Ha sentito, signor direttore, il ferro può ferirmi. Tengo per me tutte le battute ironiche che mi vengono in mente, non per pietà, ma affinché non pensino che la vicinanza della morte mi obbliga a dimostrare una certa mancanza di sensibilità.

        — Mettili sotto i pantaloni, devo sembrare il più elegante possibile.

        Avrei potuto dire che sarei dovuto apparire il più elegante possibile davanti al boia. È incredibile l'importanza che in questo momento attribuisco alle parole, uno direbbe che hanno gli spigoli acuminati e che possono ferire chi le ascolta più del ferro, ma io avverto una strana tranquillità, non voglio offendere nessuno, non sento il freddo abbraccio del ferro sulle gambe, mi sono calmato quando il frate si è tolto dalla mia vista. I ceppi sono stretti ma è difficile procurarsi delle ferite nel breve tragitto da qui al patibolo. Il giovane abbassa i pantaloni che mi ha arrotolato fino alle ginocchia, copre gli anelli ai due lati ma la catena che li lega spunta ugualmente. Mi riporta alla mente mio padre che, in sala da pranzo, prende gli orli ai clienti che salgono sulla sedia senza togliersi le scarpe.

        Desidero avvicinarmi al letto, ma le gambe non mi ubbidiscono. I ferri sono più pesanti di quanto pensassi e la catena che lega i ceppi è molto corta. Mi vergogno un po', devo trascinare le gambe, sembro un bambino che se l'è fatta nei pantaloni. Aveva ragione quel caporale di Torino: coi pantaloni abbassati fino ai piedi il prigioniero non potrà fuggire ed inoltre si sentirà ancora più sconfitto. Se è ancora vivo, avrà già avuto notizie di quel soldato pugliese che punì con qualche giorno di cella. E se non le ha avute, gliele daranno presto. Questi ricordi mi fanno sorridere. Alla fine prendo la giacca.

        — Svelto, autista, a Trafalgar Square!

        Il direttore mi tende la mano. Come il gobbo, neanche lui riesce a guardarmi negli occhi. O forse non vuole che io veda i suoi.

 

 

Arriva Cienfuegos a infastidire la gente che ha preso posto nelle terre del palazzo in alto, il palazzo di Errekalde.

        — Largo, fate largo!

        Ha bisogno di spazio, appoggiato di traverso sulle braccia porta il treppiede del fotografo. Si fa largo sfacciatamente col catafalco fino a raggiungere un luogo da cui sia ben visibile il cortile del carcere di Bergara. Il terreno è secco e deve faticare per fissare i piedi del cavalletto, ma lo zoppo sa bene come si maneggia il legno. Subito dopo arriva Markaida per immortalare la cerimonia che si sta per celebrare.

        — C'è un bel sole, farai delle belle fotografie!

        Il fotografo nasconde la testa sotto il sacco nero. Fantastico, potrà vedere perfettamente tutto: riesce a mettere a fuoco le scale, il palco, il palo. Il direttore sicuramente l'aveva avvisato che mi avrebbero girato verso la scala. Prima che tiri fuori la testa, una mano lo afferra per il gomito. Quando esce dall'oscurità, Cienfuegos lo saluta con un gesto del capo, indicandogli di guardare verso il cortile. È uscito il boia con i ferri in mano. Dietro di lui procede un giovane gobbo che porta uno sgabello. Salgono le scale, sistemano lo sgabello ai piedi del palo. E' lì che dovrò sedermi.

        — Abbiamo preso un buon posto, vero? —dice lo zoppo.

        Poi, quando l'aiutante comincia a lavorare col martello per infilare i ferri nel palo, il silenzio si impadronisce degli spettatori, come se stessero inchiodando le mani a Cristo, non si sentono più risate e nessuno chiede che passino il vino. In quel momento qualcuno parla all'orecchio dello zoppo.

        — Cienfuegos, vieni immediatamente!

        — Non posso, se mi muovo mi rubano il posto! —parla a voce alta, in modo che la gente possa sentirlo.

        — Abbiamo da fare... abbiamo da fare nel bosco!

        Nessuno protesta quando lo zoppo si allontana barcollando tra la gente, senza voler cedere alla fretta del suo compagno. «Io dovevo stare qui, io ero al mio posto, pronto a dare il segnale che dovevo dare, ho il fazzoletto rosso in tasca, che diavolo è successo, questo maledetto montanaro si sarà spaventato!». Entra in un portone di via Artekale seguendo Azkarate come se fosse il suo domestico, maledicendo ancora le carrozze trainate da cavalli che hanno portato la folla allo spettacolo. La porta si chiude silenziosamente dietro i due giovani, lasciando entrare solo un raggio di luce.

        — Non ci sono né pistole né nient'altro! —Azkarate sta sudando.

        — Che cosa dici! Ieri...

        — Non verrà nessuno da Eibar! Ci hanno traditi...!

        Lo zoppo impreca e per ripulirsi la bocca sputa sulle pietre levigate del pavimento disposte a forma di fiore. Azkarate parla tra i denti.

        — Ho pensato che... dobbiamo bruciare la falegnameria ad Errasti!

        — Bruciare la falegnameria ad Errasti? Questo non salverà l'italiano!

        — E' stato lui a costruire il patibolo, deve pagare!

        — No, questo no...

        — Che altro possiamo fare? Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo rimanere così, mentre nel nostro paese, sotto il nostro naso...

        Cienfuegos è più forte di lui, non lo lascia continuare perché, se continuasse a parlare, l'amico disposto a qualunque cosa potrebbe scoppiare a piangere.

        — No, oggi no. Non sarebbe altro che un gesto simbolico. Inoltre, ci hanno visti andare via. Oggi no, ma verrà il giorno buono. Noi rimaniamo qui, in quest'isola, capisci?

        Azkarate annuisce col capo, ma se anche il suo gesto fosse stato un no, lo zoppo avrebbe continuato lo stesso, ripetendo una semplice ragione appresa dai ribelli cubani catturati nel porto di Manzanillo, con l'orgoglio che sente al pensiero di poter un giorno canalizzare l'odio verso l'azione politica:

        — Noi non abbiamo un'altra terra. Questa è la nostra terra, questa è la nostra povera terra e, puoi starne certo, la concimeremo col fuoco finché non sarà nostra.

 

 

Mi accomoderò tranquillo sulla sedia che il boia ed il suo aiutante, il gentile barbiere, agghinderanno correttamente. Prima o poi arriverò da te, da colei che mi sta aspettando, Dolors. Terrò fede alla parola data: apparirò nella tua cella.

        «Non sei stato tu a torturarmi, Lilio.»

        «Fuggii.»

        «Fui io a dirti di fuggire.»

        «Se non fossi fuggito, mi avrebbero ammazzato.»

        «Per questo dovevi fuggire.»

        «Per questo devo morire.»

        Se Cienfuegos sapesse suonare la fisarmonica, potrei ascoltare la Marsigliese. Questo pazzo mi vuole salvare, Dolors. Non vuole che ci amiamo.

        «Io ti amo.»

        «Ammiro Jaume.»

        «Anch'io. Ma parlo di te, di me.»

        «Lui ti merita.»

        «Non hai niente da rimproverarti.»

        «Sono un vigliacco. Fuggii da te.»

        «Non è vero. Sei qui.»

        «Non posso amarti, non ancora.»

        Vedo uscire fumo bianco da sopra i tetti, una dritta colonna di fumo. Ho caldo. Le farfalle nere hanno ricevuto l'avviso di avvicinarsi alla mia fronte. Le vedo, vengono verso di me. Presto il tenente Portas unirà le nostre carni.

        «Signor boia, mi uccida lentamente, ma senza ferire questa donna.»

 

 

 

© Koldo Izagirre
© Traduzione: Roberta Gozzi


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